venerdì 8 ottobre 2010

IL POEMA EPICO CAVALLERESCO DAL MEDIOEVO AL RINASCIMENTO


I poemi epici medievali celebrano i valori della cavalleria : nobiltà di sangue, eroismo, coraggio, fedeltà al signore feudale, guerra santa contro i nemici.
Accanto al tema della guerra, nella letteratura che si sviluppa presso le corti feudali dopo l’anno Mille, si inserisce quello il tema dell’amore.
- Il primo motivo è affrontato nei testi del ciclo carolingio, le CHANSONS DE GESTE che celebrano le gesta di Carlo Magno e dei suoi 12 paladini nella lotta contro i musulmani infedeli tra l’VIII e IX sec.  Il capolavoro del genere risulta essere la CHANSON DE ROLAND, composta tra la fine dell’XI sec. e l’inizio del sec. XII. Nei poemi epici medievali gli eventi storici sono idealizzati (vedi morte di Rolando a Roncisvalle) e i protagonisti, modelli esemplari di coraggio e virtù (senso dell’onore , lealtà verso il sovrano), esprimono i valori della nobiltà feudale. Tutte le CHANSONS DE GESTE ( circa 80, di lunghezza variabile) risultano scritte nella lingua volgare detta d’oil.
CHANSON DE ROLAND , La morte di Orlando (Lassa CLXXV)
Il conte Orlando è disteso sotto un pino,
  verso la Spagna ha rivolto il viso.
  Di molte cose comincia a ricordarsi,
  di tante terre che ha conquistato, il prode,
  della dolce Francia, della sua stirpe,
  di Carlomagno, suo re, che lo nutrì;
  non può frenare lacrime e sospiri.
  Ma non vuol dimenticare se stesso,
  proclama la sua colpa, chiede pietà a Dio:
  “O Padre vero, che giammai mentisci,
  tu che resuscitasti Lazzaro da morte
  e Daniele salvasti dai leoni,        
  salva l’anima mia da tutti i pericoli
  per i peccati che in vita mia commisi!”.
  A Dio ha offerto il guanto destro:
  san Gabriele con la sua mano l’ha preso.
  Sopra il braccio teneva il capo chino;
  con le mani giunte è andato alla fine.
  Dio gli manda l’angelo Cherubino
  E san Michele del Pericolo del  Mare
  insieme a loro venne San Gabriele:
  portano in Paradiso l’anima del conte.

- Il secondo tema è quello presente nel ciclo bretone, il quale è costituito da narrazioni in prosa e in versi, ambientate nella lontana Bretagna, diffuse a partire dall’XI sec. nelle corti feudali d’Europa. Esse celebrano le imprese di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda: si tratta di un gruppo di spiriti eletti per i quali è centrale non soltanto l’eroismo in guerra e la fedeltà al signore, ma anche l’amore verso una nobile dama, sentimento che implica gentilezza d’animo ed è occasione di elevazione morale.
I testi di queste opere  nate secondo alcuni  da vicende tramandate oralmente, divenute successivamente patrimonio dell’arte dei  giullari e finalmente fissate in forma scritta (a partire dall’anno Mille), continuarono a circolare nei numerosissimi poemi e rifacimenti  che si erano succeduti di secolo in secolo

per tutto l’occidente, ben accetti sia da un pubblico popolare che aristocratico. La tradizione dei poemi epici medievali fu mantenuta viva  non solo grazie all’opera dei canterini ,  ma anche grazie alla introduzione della stampa. Essi costituirono la base per i poemi epico-cavallereschi del 400-500, opere letterarie scritte da un autore colto, in ottave di endecasillabi, e rivolte ad una ristretta cerchia di lettori e spettatori, i cui protagonisti erano i medesimi cavalieri dell’epica medievale. In particolare, il genere ebbe notevole fortuna alla corte estense di Ferrara, e, grazie alla stampa, i destinatari delle opere vennero a coincidere con il pubblico di tutte le corti italiane.
Nei poemi cavallereschi rinascimentali si produce una rilevante novità, dovuta, in primo luogo, alla fusione dei temi  dominanti nei  cicli medievali: fedeltà al proprio signore e difesa della cristianità  si fondono con amore e spirito avventuriero.
Nell’Orlando Innamorato di M. M. Boiardo  il sentimento d’amore diviene forza naturale, che vince ogni resistenza e trionfa sulle armi e sulle virtù guerriere; nell’Orlando furioso di L. Ariosto, la gelosia, generata da una passione non corrisposta, provoca addirittura la pazzia del cavaliere protagonista.
La diversa figura dell’eroe della letteratura epica riflette il mutare della mentalità  che avviene a partire dal Quattrocento, allorché muta il rapporto tra uomo e dio, tra spirito e natura: si passa da una visione mistica e metafisica della vita,  ad una concezione tutta laica e mondana. Pur non rinnegando l’esistenza di Dio e il suo manifestarsi nelle vicende umane, si rifiuta il principio provvidenzialistico della storia per cui tutto sulla Terra si realizza secondo un imperscrutabile e ineluttabile disegno divino, universalistico e predeterminato. L’uomo rinascimentale si riappropria della sua dignità,  acquista il coraggio di vivere con la  fiducia entusiastica di poter intervenire per modificare il corso della storia. In tale contesto la vita terrena viene rivalutata, non è più mera preparazione all’aldilà, come accadeva nel medioevo, ma diviene un percorso di crescita interiore: l’uomo esprime il meglio di sé attraverso le opere che compie, lo studio e la creazione artistica. Anche le manifestazioni umane, come l’amore e i sentimenti, acquistano dignità nella vita reale e nella letteratura e gli autori guardano al passato trasfigurandone gli elementi eroici.
In tale contesto, i valori feudali ancora vivi nelle corti signorili dell’età moderna si fondono con la nuova concezione della vita e il paladino Orlando ne esce profondamente trasformato.  Seguendo il personaggio di Orlando, l’eroe Rolando del ciclo carolingio, morto a Roncisvalle per difendere la fede, è possibile cogliere la metamorfosi della figura del cavaliere.
La vanità dei beni terreni“[…]Non c’è chi facci bene, non ce n’è solo. Quasi tutta la vita de’ mortali è piena di peccati, in modo che appena si possi trovare chi non penda a mano sinistra, chi non torni al vomito, che non sia puzzolente nello sterco, che non si rallegri più tosto quando ha mal fatto e rallegrasi nelle cose pessime. Ripiene d’ogni iniquità, malizia, avarizia, nequizia; pieni d’invidia, omicidio, contenzione, inganno, malignità; sussurroni, mormoratori in odio di Dio,  pieni di villanie, superbi, gonfiati, inventori de’ mali, disubbidienti a’ padri […] Questo mondo è ripieno di tali e molto peggiori: abonda di eretici,  di scismatici, di perfidie tiranni, simoniaci, ipocriti, ambiziosi, cupidi, ladri, rubatori [..]astuti, golosi, ubriachi, adulteri etiam nel parentado, lascivi immondi pigri e negligenti. […]”. Lotario Diacono, De contemptu mundi, III. (XII-XIII sec.)
Dignità e bellezza del corpo umano
[…] Non c’è infatti atto umano, ed è mirabile cosa, sol che ne consideriamo con cura e attenzione la natura, dal quale l’uomo non tragga almeno un piacere non trascurabile: così attraverso i vari sensi esterni, come il vedere, l’udire, l’odorare, il gustare, il toccare, l’uomo gode sempre piaceri così grandi e forti, che taluni paiono a volte superflui ed eccessivi e soverchi.Sarebbe infatti difficile a dirsi, o meglio impossibile, quali godimenti l’uomo ottenga dalla visione chiara e aperta dei bei corpi, dall’audizione di suoni e sinfonie e armonie varie, dal profumo dei fiori e di simili cose odorate, dal gustare cibi dolci e soavi, e infine dal toccare cose estremamente molli.[…]” Giannozzo Manetti, De dignitate et excellentia hominis, IV.(XV sec.)

ORLANDO INNAMORATO
La prima opera della letteratura italiana in cui le imprese d’armi dei paladini di Carlo Magno e il motivo eroico-religioso delle Chansons de geste si intrecciano con il tema dell’amore è il poema cavalleresco Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo (1441-1494).
Vissuto a Ferrara alla corte del duca d’Este Ercole I, dal quale era stato nominato governatore di Modena e in seguito capitano della rocca di Reggio, l’autore celebra nel suo poema gli amori del cavaliere Orlando per la misteriosa Angelica e anche il sentimento che nasce tra Ruggero e Bradamante, donna guerriera, i leggendari capostipiti della dinastia estense: si tratta del cosiddetto motivo encomiastico, introdotto dal poeta per esaltare la famiglia del proprio signore o committente.
ORLANDO FURIOSO
Nell’ambito della corte estense di Ferrara fu composto anche il più celebre poema italiano del Rinascimento, Orlando furioso,  nato come ideale continuazione dell’Orlando innamorato (il quale si interrompe a metà del terzo libro).
L’autore dell’opera, Ludovico Ariosto (1474-1533), entrò al servizio degli Estensi nel 1503 e affiancò agli incarichi politici e culturali che gli furono affidati un costante impegno nella produzione artistica.
Orlando, l’eroe senza macchia e senza paura, nemico degli infedeli e morto a Roncisvalle per difendere gli ideali cristiani, diventa, nell’invenzione ariostesca, un cavaliere dalle caratteristiche più umane: vulnerabile all’amore di Angelica, principessa pagana, la insegue fino a diventare pazzo quando scopre che lei vive, ricambiata, un’intensa passione per un fante saraceno. L’ideale cavalleresco assume così significati nuovi, lasciando emergere dalle molteplici avventure dei personaggi non l’eroe ma l’uomo con le sue doti positive e le sue fragilità.
IL CAVALIRE COME METAFORA DELL’UOMO CONTEMPORANEO
Lo scrittore contemporaneo Italo Calvino (1923-1985) ha trovato nel mondo dei cavalieri immaginato da Ludovico Ariosto una originale fonte di ispirazione e anch’egli ha collocato in un improbabile Medioevo la storia di un eroico paladino, Agilulfo de “Il cavaliere inesistente”(Garzanti, Milano 1985). Quest’ultimo ha, tuttavia, una caratteristica che lo rende singolare: è privo di corpo, è una vuota armatura animata dalla sola forza di volontà, che agisce e pensa come un essere vivente e, come tale, combatte per gli ideali cristiani.
Affascinato dalla fantasia e dall’ironia di Ludovico Ariosto, Calvino recupera la figura del cavaliere per offrirci il suo punto di vista sull’uomo contemporaneo: quest’ultimo, vincolato da convenzioni sociali e ruoli, condizionato da imposizioni estranee a se stesso, crede di esserci, ma in realtà è soltanto un individuo privo di identità e senza coscienza di sé, cioè una forma, un involucro (come l’armatura di Agilulfo) che non contiene alcuna sostanza. Ecco, quindi, che il cavaliere già rimosso nel Rinascimento dal piedistallo su cui l’aveva posto la tradizione medioevale, trasformato da Boiardo e Ariosto in un uomo travolto dalla passione, riflette nitida l’immagine dell’alienazione contemporanea.

2 commenti: