domenica 10 ottobre 2010

PRODUZIONE LETTERARIA IN LINGUA D’OC

PRODUZIONE LETTERARIA IN LINGUA D’OC : LA LIRICA E LE CORTI EUROPEE (pp.60-66)

            A partire dall’XI secolo, in Francia meridionale fiorì la lirica d’amore in lingua d’oc, cioè in Provenzale. Tale lirica si diffuse nelle corti fastose e raffinate della Provenza, a partire dalla corte del più grande feudatario di Francia, Guglielmo IX d’Aquitania (1071-1126), un nobile “fatuo, dissoluto e lubrico”, “nemico di ogni pudore e santità”; tale è il ritratto che di lui appare nelle fonti ecclesiastiche del tempo. Guglielmo IX d’Aquitania, come pure Federico II di Svevia in Sicili ed il re Enrico II in Inghilterra, promosse una cultura cortese di indirizzo laico, capace di esprimere i gusti e le tendenze di una nuova società civile che rivendicava la piena autonomia rispetto agli antichi valori della cultura latina ecclesiastica. In questo periodo si diffusero in Provenza  nobili poeti e giullari che componevano liriche d’amore in provenzale (lingua d’oc): i TROVATORI. Questi elaborarono componimenti poetici del tutto originali, con temi, forme metriche e tecniche che si diffusero ben presto in tutta Europa: Francia del Nord, Portogallo, Germania, Italia (specialmente meridionale). La lirica d’amore il lingua d’oc ha avuto grande influenza sulla nascita della lirica moderna europea e sulla nostra poesia dotta, dalla “Scuola Siciliana” al “Dolce Stil Novo”. La corte divenne il luogo eletto della poesia. I principali  trovatori provenzali furono
        ·  Bernart de Ventadorn (indicato come il più grande dei Trovatori, attivo nella seconda metà del XII sec).
        · Arnaut Daniel (1150-1200), definito da Dante Alighieri il “miglior fabbro del parlar moderno”.
        ·  Bertran De Born (1140-1215).
        ·  Folchetto di Marsiglia,  attivo in Francia 1179-1195.
        ·  Chretien de Troyes, attivo tra il 1160-1190; scrisse, oltre ai romanzi, due liriche d’amore in lingua d’oil.
La poesia dei trovatori prende spunto dai sentimenti delle corti e della classe dirigente d’Europa, ed elabora dei modelli (sia a livello di contenuto che di  tecnica stilistica) che arriveranno anche alla cultura borghese e cittadina. Il tema predominante della poesia trobadorica  in lingua d’oc è l’amore, un amore fortemente idealizzato, che si atteggia come un omaggio cortese del cavaliere alla dama, concepita come una creatura eletta, fonte di grazia e di virtù. Si tratta, spesso, di un amore richiesto per non essere ottenuto: l’amore di cui parlano i trovatori, è un amore sempre extramatrimoniale di cui le rigide regole feudali impediscono la soddisfazione. La donna, pur rappresentata in stereotipi fissi e talvolta astratti, è il fine ma  anche la fonte letteraria dei trovatori e dei nuovi poeti in volgare: ella è la generatrice di ogni piacere, sessuale e morale. La lunga attesa imposta dalla sua inavvicinabilità, insegna un insieme di virtù che confluiranno nel codice di comportamento cortese: la misura, la pazienza, l’attesa. Il concetto di amore cristiano, viene inserito in una nuova dimensione laica dell’amore, basato quasi sempre sul rapporto tra amanti non coniugati. L’amore cortese comporta per colui che ama, una dedizione assoluta e totale, spesso anche nella consapevolezza della insicurezza e della inutilità del proprio servizio amoroso. In tal senso la figura femminile è assimilabile a quella del signore feudale. La donna non occupa realmente una posizione centrale: essa è in primo luogo il tramite per mettere in luce lo stato d’animo, le angosce e le ossessioni del poeta innamorato. Tra Duecento e Trecento la lirica provenzale è dunque dominata dalla lirica; le altre forme(epica, romanzo, racconto breve) appaiono marginali, anche se non mancano nel repertorio dei giullari.
 Esistono due principali  generi lirici più praticati dai trovatori provenzali, a seconda della struttura stilistica              (la costruzione musicale e metrico-strofica) e del contenuto: la canzone cortese, che esprime generi di contenuto amoroso, e il sirventese che esprime componimenti a carattere politico e civile.  Sia la canzone, che il sirventese, appartengono ad un registro stilistico “aulico” (da “aula”: in latino= corte) destinato ad un pubblico d’elite, il pubblico cortese ed aristocratico. Esisteva poi un registro “popolareggiante”, che comprendeva liriche in origine extracortesi, caratterizzate da un linguaggio e da uno stile  meno ricercato e più immediato; ciò non esclude che poi tali liriche siano circolate anche in ambienti di corte. Le melodie delle liriche trobadoriche rivelano l’influenza della metrica e della musica coltivata nelle grandi abbazie dell’Aquitania.
            Alla seconda metà del Duecento, si colloca il trattato “De Amore” di Andrea Cappellano, che viene ad essere una summa  dell’amore cortese. La teoria d’amore che in esso viene esposta, ispirò tutta la lirica provenzale, ma anche la lirica italiana, da Guido Guinizzelli a Dante. Nel 1277 il trattato De amore e lo stesso A. Cappellano furono oggetto di condanna da parte dell’arcivescovo di Parigi, Etienne Tempier,  per il contenuto ritenuto sovversivo dei principi etici e religiosi sui quali si basava l’ortodossia cattolica medievale. Ciò testimonia la componente cortese e laica dell’opera di A. Cappellano e, in generale, i nuovi orientamenti della civiltà letteraria europea del 1200.
L’INVENZIONE DEL ROMANZO. la corte anglonormanna e le corti francesi.

La corte anglonormanna del re Enrico II d’Inghilterra ed Eleonora d’Aquitania (nipote del primo trovatore provenzale, Gugliemo IX duca d’Aquitania), fu al suo tempo la più importante corte europea per la storia e lo sviluppo della letteratura cortese in volgare. Ai poeti del circolo letterario di Eleonora d’Aquitania sono state attribuite le più importanti opere scritte in volgare tra il 1154-1170. Eleonora D’Aquitania portava con sé                 l’ interesse per la poesia trobadorica e per la cultura volgare. Fu proprio alla corte di Enrico II ed Eleonora d’Aquitania che ebbe origine, nel XII sec., il genere letterario destinato ad avere maggiore fortuna nel tempo:  IL ROMANZO.   Il romanzo è il genere letterario e allo stesso tempo l’oggetto culturale di consumo(il libro) più diffuso nell’età moderna e contemporanea. Il tremine “romanzo” deriva dall’espressione  francese “romanz”, a sua volta derivata dalla locuzione latina “romanice loqui”, cioè parlare in lingua volgare romanza. Infatti, in origine, il tremine “romanzo” indicava qualsiasi testo o discorso in lingua volgare. Solo dal secolo XII, l’espressione “romanzo” indicò un preciso genere letterario che si affiancava alle Chansons de Geste e alle Agiografie (vite dei santi) I primi romanzi a noi noti, quelli medievali del XII secolo, sono in versi (in genere ottosillabi rimati a coppie AA BB). L’impiego del verso si collega alla lettura che del romanzo si faceva ad alta voce. Più tardi, dal XII sec in poi, con la crescita della alfabetizzazione e l’emergere dei nuovi ceti urbani e borghesi, la forma privilegiata del romanzo fu la prosa, mentre cominciò a diffondersi la lettura individuale. Alle origini il Romanzo ben poco si differenziava dalla Chanson de geste, essendo entrambi i testi  a carattere narrativo e scritti in versi. Una differenza fondamentale tra i due generi consisteva nella fruizione: la chanson de geste era rigorosamente legata ad un accompagnamento musicale, mentre il romanzo era destinato alla lettura,  sia pubblica (a corte) che privata e individuale. Inoltre, a livello tematico, nei poemi epici le armi, l’eroismo e la virtù guerriera costituiscono il soggetto principale delle strorie; l’eroismo del singolo si annulla nell’eroismo di un’intera classe sociale: quella dei cavalieri, fedeli al proprio signore e a Dio. Nel romanzo, invece, il tema delle armi assume importanza solo in funzione dell’individuo, il cavaliere medievale, attorno al quale ruota tutta la vicenda.  Il confine tra i due generi  restava comunque assai labile.

Un filone tematico assai importante al quale attingevano i primi romanzi medievali in versi è la “materia di Bretagna”, da cui derivò il ROMANZO CAVALLERESCO : I ROMANZI DEL “CICLO BRETONE”. 
 I soggetti più noti di tali romanzi furono cavalieri erranti e dame: Tristano e Isotta, Lancillotto e Ginevra, re Artù e i cavalieri della Tavola rotonda, il Santo Graal. Queste storie sono costituite da leggende folcroriche molto antiche, di matrice celtica e bretone; si trattava di motivi fiabeschi precristiani.
I romanzi del ciclo bretone sono diversi rispetto ai poemi  quelli del ciclo carolingio, non più dominati dal sentimento religioso e patriottico, bensì da un fervido spirito di avventura. I personaggi in essi celebrati sono animati da spirito d’avventura e soprattutto dall’amore; vivono in un mondo  avvolto dal fascino dell’ignoto, nel quale abbondano maghi e incantesimi, combattono e affrontano pericoli per acquistare merito presso la donna amata. Il  più grande romanziere medievale, nonché maggior poeta del ciclo bretone è:
  Chretien De Troyes,  originario della Champagne e attivo tra il 1160-1190; divenne poeta di corte presso la contessa  Maria di Champagne (figlia di Eleonora D’aquitania), grande protetrice delle lettere e dei poeti di corte. Fu autore di numerosi romanzi in lingua d’oil (francese antico) tra cui il Lancelot, il  Cliges,  l’ Yvain, il Perceval. Compose anche due liriche d’amore. Altri autori rilevanti furono:
  Thomas e Beroul i quali elaborarono un altro grande tema che appassionò  il Medioevo: il romanzo di  Tristano e Isotta (vedi pagg. 79-81 e pag. 84) . La leggenda appartiene al patrimonio narrativo                  e folcrorico celtico.

Altro filone tematico assai importante nell’ambito del romanzo medievale è la “materia antica”, cioè classica, dedicata ai miti antichi e ai grandi eroi della Grecia e di Roma.  Tali romanzi riprendono, trasformandoli secondo l’ideale cavalleresco, i grandi poemi classici. Ricordiamo a tal proposito
  Benoit  De Sainte More, storiografo ufficiale e romanziere alla corte del re Enrico II. Fu autore di grandi romanzi a carattere celebrativo ed encomiastico : Roman de Thebes, Roman de Troie, Roman d’Eneas.

LETTERATURA FRANCESE IN LINGUA D’OIL

LETTERATURA FRANCESE IN LINGUA D’OIL : EPICA ROMANZA, origini e diffusione. ROMANZI CICLO CAROLINGIO- CICLO BRETONE.
 (vedi: L’epica romanza: le abbazie e le corti, pp. 51- 57)

 La letteratura francese in lingua d’oil comprende i primi poemi epici medievali:
 LE CHANSONS DE GESTE, poemi epici a carattere narrativo che esaltano lo spirito religioso, patriottico e guerriero dell’aristocrazia francese.  Tali poemi narrativi di argomento eroico e guerresco risultano fondati su un nucleo contenutistico di storicità reale o presunta. La canzone di gesta è legata all’accompagnamento musicale (da cui il termine chansons), è proposta al pubblico nell’esecuzione di un giullare o di un professionista della narrazione. Il termine geste (in italiano”gesta”) traduce il latino” res gestae” cioè le “imprese” o il “racconto delle imprese” : a livello strutturale, le chansons de geste sono scritte in “Lasse”. La  “Lassa” è una struttura metrica tipica dell’epica romanza che prevede un insieme di versi legati da rima oppure da assonanza. Il numero dei versi all’interno di ciascuna lassa è variabile. I versi delle lasse sono generalmente decasillabi oppure ottosillabi. Le canzoni di gesta erano eseguite con l’accompagnamento di una melodia presso le corti  dei signori o anche in luoghi pubblici (nelle piazze, nelle vie di pellegrinaggi), da giullari professionisti o da cantastorie. Sono opere d’intrattenimento e di propaganda.
Il  primo poema epico in volgare è la CHANSON DE ROLAND (vedi pag. 56), scritta nell’ultimo quarto del sec. XI in antico francese, la lingua d’oil parlata nel Nord (sopra la linea ideale che congiunge il fiume Loira alla Garonna).  L’identità dell’autore rimane avvolta nel mistero, anche se il manoscritto più antico, copiato in terra inglese alla fine XI sec., si chiude con la firma “Turoldo”, ma non si sa se costui fosse l’autore, il copista amanuense oppure il giullare che soleva recitare la chanson. Le vicende narrate nella  Chanson  si riferiscono ad un preciso fatto storico: la sconfitta della retroguardia di Carlo Magno a Roncisvalle ad opera di montanari baschi e la morte del paladino del re, il conte Orlando, che risalgono storicamente all’anno 778. Nella Chanson tale episodio, che si colloca nell’ambito del tentativo di arginare l’espansione araba in Occidente,  è amplificato e trasfigurato in uno scontro epico grandioso durato sette anni, tra i Francesi e i Saraceni ritenuti dalla Cristianità un popolo di infedeli, politeisti e idolatri.
Il personaggio di Orlando è quello dell’eroe cristiano, audace cavaliere e combattente, dotato di coraggio e di uno smisurato senso dell’onore. Egli è pronto a difendere con le armi, fino all’estremo sacrificio della morte, la fede cristiana e il proprio sovrano: Rolando deve infatti garantire un’assoluta fedeltà a Carlo Magno, dal quale dipende la sicurezza della Francia e di tutto l’Occidente cristiano, minacciato dagli Arabi. La chanson de Roland, come tutte le chansons de geste, esprime alcuni temi fondamentali della cultura cortese: la fedeltà alla propria terra, al proprio signore feudale, alla fede cristiana, l’amore per la gloria e la prodezza guerriera, il coraggio e la virilità eroica.
Le chansons de geste si diffondono dalla Francia in tutta Europa: Inghilterra, Spagna, Italia. La tradizione epica iberica è dominata da Il cantare del Cid, poema epico scritto alla metà del XII sec. e incentrato sulla vicenda storica reale di un feudatario locale.
 Le chansons de geste francesi sono i poemi epici che rientrano nel cosiddetto “CICLO CAROLINGIO”, ispirato alle imprese di Carlo Magno e dei suoi fedeli paladini, tra cui spicca Orlando, contro i Saraceni. Il capostipite è il  testo più celebre e antico: la Chanson de Roland.

Esiste poi un altro filone principale di produzione letteraria in lingua d’oil, che
fiorisce  Francia settentrionale:
IL CICLO BRETONE detto anche “materia di Bretagna”.
Tale ciclo comprende poemi e romanzi cavallereschi basati su leggende di matrice celtica e bretone che hanno per protagonisti Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda. I poemi del ciclo bretone sono diversi rispetto a quelli del ciclo carolingio, non più dominati dal sentimento religioso e patriottico, bensì da un fervido spirito di avventura., I personaggi in essi celebrati sono cavalieri erranti e dame: Artù, Lancillotto e Ginevra, Tristano e Isotta, Perceval, Galvano, il Santo Graal. Essi,  animati da spirito d’avventura e soprattutto dall’amore, vivono in un mondo  avvolto dal fascino dell’ignoto, nel quale abbondano maghi e incantesimi, combattono e affrontano pericoli soprattutto per acquistare merito presso la donna amata.  Il maggiore poeta del ciclo bretone è
  CHRETIEN DE TROYES, autore del Lancelot, del  Cliges, dell’ Yvain, del Perceval.
Altri autori rilevanti furono
  THOMAS e BEROUL i quali elaborarono un altro grande tema che appassionò il medioevo: il romanzo di  Tristano e Isotta (vedi pagg. 79-81 e pag. 84) . La leggenda appartiene al patrimonio narrativo e folcrorico celtico. L’ambientazione e l’onomastica fanno supporre che essa abbia avuto origine in territorio inglese, tra la Cornovaglia e le regioni a Nord della Gran Bretagna. Già nei secoli dell’alto Medioevo, la leggenda circolava in forma orale nella Francia Settentrionale. I testi scritti più antichi sono in Francese e in versi e risalgono alla seconda metà del XII sec. quando il poeta anglonormanno Thomas e il normanno Beroul si ispirarono alla storia dei due amanti per comporre i loro romanzi in versi. Nel corso del Duecento la storia fu riscritta in prosa e rifusa all’interno dei grandi cicli romanzeschi dedicati al mondo di Re Artù e dei suoi cavalieri e alle avventure legate alla ricerca del santo Graal, il mitico vaso nel quale fu raccolto il sangue di Cristo. In questa forma il romanzo di Tristano e Isotta fu conosciuto anche in Italia, sia nella lingua originale (francese antico), si in traduzioni italiane. Il romanzo scritto da THOMAS, il Tristano,  è il piu antico dei testi dedicati ai due amanti.. fu scritto in anglonormanno, la lingua madre dell’autore; probabilmente fu scritto in Inghilterra, per un pubblico cortese, intorno alla metà del XII sec. homas, sulla cui identità possediamo poche notizie, doveva essere un chierico, che afferma di non aver mai sperimentato la passione d’amore. Tuttavia dedicò tutte le sue fatiche letterarie a coloro che amano, allo scopo di fornire loro un esempio delle traversie e delle pene d’amore subite dagli innamorati, specie quando essi infrangono le regole sociali, come Tristano e Isotta.

LE ORIGINI DELLA LETTERATURA ITALIANA



Il sorgere della letteratura italiana in lingua volgare avviene a partire dal 1200,  dietro l’influenza del diffondersi in tutta Europa della letteratura francese in lingua volgare (Lingua d’oil o Francese antico e Lingua d’oc o provenzale). In Italia la nuova letteratura in volgare tarda ad affermarsi a causa della maggiore frammentarietà del panorama politico e culturale.
  Al Nord abbiamo le corti signorili feudali e i liberi Comuni (Genova, Milano, Venezia, Firenze, Lucca, Arezzo, Pisa, Siena).
  Al Centro la Chiesa, istituzione a carattere universalistico
  Al sud abbiamo un regno fortemente accentrato (Normanni- Svevi- Angioini- Aragonesi).
 Tre sono i principali filoni culturali e letterari del Duecento, in Italia:
1.        la poesia religiosa in Umbria , incentrata attorno alla figura di San Francesco e agli scrittori di laude, che mantengono un chiaro e consapevole indirizzo popolare;
2.        nei Comuni : una produzione letteraria  in volgare a carattere didascalico e moralistico intimamente collegata allo spirito politico, pratico e fattivo del Comune medievale; nelle corti signorili: una produzione letteraria a carattere cortese e cavalleresco.
3.        nell’Italia meridionale, alla corte di Federico II di Svevia (1220-1250) fiorì una lirica d’amore in lingua volgare, di chiara influenza francese : La Scuola poetica siciliana, con intenti schiettamente estetici ed artistici.
Sulla nostra letteratura delle origini è forte l’influenza della produzione letteraria in lingua romanza che si diffuse nelle corti della Francia sett e merid a partire dall’XI sec.
In Francia sorse, infatti, la prima letteratura in lingua romanza (volgare),
concepita con raffinato intento artistico, che applicava le regole della retorica (arte del bel parlare) proprie della tradizione della poesia classica in lingua latina, ad un contenuto nuovo e allo stesso tempo laico: i temi e gli ideali della società cavalleresca, che divennero ben presto i temi della nuova letteratura e cultura cortese.
In Francia si diffuse una letteratura romanza in LINGUA D’OIL o francese antico (Francia settentrionale) e una letteratura romanza in LINGUA D’OC o provenzale  (Francia meridionale). La lingua d’oc comprende i dialetti della Francia del sud molto vicini al latino parlato (sermo vulgaris), mentre la lingua d’oil comprende i dialetti della Francia nord che risentono non soltanto  del latino parlato, ma soprattutto l’influenza della lingua dei Franchi invasori.

venerdì 8 ottobre 2010

IL POEMA EPICO CAVALLERESCO DAL MEDIOEVO AL RINASCIMENTO


I poemi epici medievali celebrano i valori della cavalleria : nobiltà di sangue, eroismo, coraggio, fedeltà al signore feudale, guerra santa contro i nemici.
Accanto al tema della guerra, nella letteratura che si sviluppa presso le corti feudali dopo l’anno Mille, si inserisce quello il tema dell’amore.
- Il primo motivo è affrontato nei testi del ciclo carolingio, le CHANSONS DE GESTE che celebrano le gesta di Carlo Magno e dei suoi 12 paladini nella lotta contro i musulmani infedeli tra l’VIII e IX sec.  Il capolavoro del genere risulta essere la CHANSON DE ROLAND, composta tra la fine dell’XI sec. e l’inizio del sec. XII. Nei poemi epici medievali gli eventi storici sono idealizzati (vedi morte di Rolando a Roncisvalle) e i protagonisti, modelli esemplari di coraggio e virtù (senso dell’onore , lealtà verso il sovrano), esprimono i valori della nobiltà feudale. Tutte le CHANSONS DE GESTE ( circa 80, di lunghezza variabile) risultano scritte nella lingua volgare detta d’oil.
CHANSON DE ROLAND , La morte di Orlando (Lassa CLXXV)
Il conte Orlando è disteso sotto un pino,
  verso la Spagna ha rivolto il viso.
  Di molte cose comincia a ricordarsi,
  di tante terre che ha conquistato, il prode,
  della dolce Francia, della sua stirpe,
  di Carlomagno, suo re, che lo nutrì;
  non può frenare lacrime e sospiri.
  Ma non vuol dimenticare se stesso,
  proclama la sua colpa, chiede pietà a Dio:
  “O Padre vero, che giammai mentisci,
  tu che resuscitasti Lazzaro da morte
  e Daniele salvasti dai leoni,        
  salva l’anima mia da tutti i pericoli
  per i peccati che in vita mia commisi!”.
  A Dio ha offerto il guanto destro:
  san Gabriele con la sua mano l’ha preso.
  Sopra il braccio teneva il capo chino;
  con le mani giunte è andato alla fine.
  Dio gli manda l’angelo Cherubino
  E san Michele del Pericolo del  Mare
  insieme a loro venne San Gabriele:
  portano in Paradiso l’anima del conte.

- Il secondo tema è quello presente nel ciclo bretone, il quale è costituito da narrazioni in prosa e in versi, ambientate nella lontana Bretagna, diffuse a partire dall’XI sec. nelle corti feudali d’Europa. Esse celebrano le imprese di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda: si tratta di un gruppo di spiriti eletti per i quali è centrale non soltanto l’eroismo in guerra e la fedeltà al signore, ma anche l’amore verso una nobile dama, sentimento che implica gentilezza d’animo ed è occasione di elevazione morale.
I testi di queste opere  nate secondo alcuni  da vicende tramandate oralmente, divenute successivamente patrimonio dell’arte dei  giullari e finalmente fissate in forma scritta (a partire dall’anno Mille), continuarono a circolare nei numerosissimi poemi e rifacimenti  che si erano succeduti di secolo in secolo

per tutto l’occidente, ben accetti sia da un pubblico popolare che aristocratico. La tradizione dei poemi epici medievali fu mantenuta viva  non solo grazie all’opera dei canterini ,  ma anche grazie alla introduzione della stampa. Essi costituirono la base per i poemi epico-cavallereschi del 400-500, opere letterarie scritte da un autore colto, in ottave di endecasillabi, e rivolte ad una ristretta cerchia di lettori e spettatori, i cui protagonisti erano i medesimi cavalieri dell’epica medievale. In particolare, il genere ebbe notevole fortuna alla corte estense di Ferrara, e, grazie alla stampa, i destinatari delle opere vennero a coincidere con il pubblico di tutte le corti italiane.
Nei poemi cavallereschi rinascimentali si produce una rilevante novità, dovuta, in primo luogo, alla fusione dei temi  dominanti nei  cicli medievali: fedeltà al proprio signore e difesa della cristianità  si fondono con amore e spirito avventuriero.
Nell’Orlando Innamorato di M. M. Boiardo  il sentimento d’amore diviene forza naturale, che vince ogni resistenza e trionfa sulle armi e sulle virtù guerriere; nell’Orlando furioso di L. Ariosto, la gelosia, generata da una passione non corrisposta, provoca addirittura la pazzia del cavaliere protagonista.
La diversa figura dell’eroe della letteratura epica riflette il mutare della mentalità  che avviene a partire dal Quattrocento, allorché muta il rapporto tra uomo e dio, tra spirito e natura: si passa da una visione mistica e metafisica della vita,  ad una concezione tutta laica e mondana. Pur non rinnegando l’esistenza di Dio e il suo manifestarsi nelle vicende umane, si rifiuta il principio provvidenzialistico della storia per cui tutto sulla Terra si realizza secondo un imperscrutabile e ineluttabile disegno divino, universalistico e predeterminato. L’uomo rinascimentale si riappropria della sua dignità,  acquista il coraggio di vivere con la  fiducia entusiastica di poter intervenire per modificare il corso della storia. In tale contesto la vita terrena viene rivalutata, non è più mera preparazione all’aldilà, come accadeva nel medioevo, ma diviene un percorso di crescita interiore: l’uomo esprime il meglio di sé attraverso le opere che compie, lo studio e la creazione artistica. Anche le manifestazioni umane, come l’amore e i sentimenti, acquistano dignità nella vita reale e nella letteratura e gli autori guardano al passato trasfigurandone gli elementi eroici.
In tale contesto, i valori feudali ancora vivi nelle corti signorili dell’età moderna si fondono con la nuova concezione della vita e il paladino Orlando ne esce profondamente trasformato.  Seguendo il personaggio di Orlando, l’eroe Rolando del ciclo carolingio, morto a Roncisvalle per difendere la fede, è possibile cogliere la metamorfosi della figura del cavaliere.
La vanità dei beni terreni“[…]Non c’è chi facci bene, non ce n’è solo. Quasi tutta la vita de’ mortali è piena di peccati, in modo che appena si possi trovare chi non penda a mano sinistra, chi non torni al vomito, che non sia puzzolente nello sterco, che non si rallegri più tosto quando ha mal fatto e rallegrasi nelle cose pessime. Ripiene d’ogni iniquità, malizia, avarizia, nequizia; pieni d’invidia, omicidio, contenzione, inganno, malignità; sussurroni, mormoratori in odio di Dio,  pieni di villanie, superbi, gonfiati, inventori de’ mali, disubbidienti a’ padri […] Questo mondo è ripieno di tali e molto peggiori: abonda di eretici,  di scismatici, di perfidie tiranni, simoniaci, ipocriti, ambiziosi, cupidi, ladri, rubatori [..]astuti, golosi, ubriachi, adulteri etiam nel parentado, lascivi immondi pigri e negligenti. […]”. Lotario Diacono, De contemptu mundi, III. (XII-XIII sec.)
Dignità e bellezza del corpo umano
[…] Non c’è infatti atto umano, ed è mirabile cosa, sol che ne consideriamo con cura e attenzione la natura, dal quale l’uomo non tragga almeno un piacere non trascurabile: così attraverso i vari sensi esterni, come il vedere, l’udire, l’odorare, il gustare, il toccare, l’uomo gode sempre piaceri così grandi e forti, che taluni paiono a volte superflui ed eccessivi e soverchi.Sarebbe infatti difficile a dirsi, o meglio impossibile, quali godimenti l’uomo ottenga dalla visione chiara e aperta dei bei corpi, dall’audizione di suoni e sinfonie e armonie varie, dal profumo dei fiori e di simili cose odorate, dal gustare cibi dolci e soavi, e infine dal toccare cose estremamente molli.[…]” Giannozzo Manetti, De dignitate et excellentia hominis, IV.(XV sec.)

ORLANDO INNAMORATO
La prima opera della letteratura italiana in cui le imprese d’armi dei paladini di Carlo Magno e il motivo eroico-religioso delle Chansons de geste si intrecciano con il tema dell’amore è il poema cavalleresco Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo (1441-1494).
Vissuto a Ferrara alla corte del duca d’Este Ercole I, dal quale era stato nominato governatore di Modena e in seguito capitano della rocca di Reggio, l’autore celebra nel suo poema gli amori del cavaliere Orlando per la misteriosa Angelica e anche il sentimento che nasce tra Ruggero e Bradamante, donna guerriera, i leggendari capostipiti della dinastia estense: si tratta del cosiddetto motivo encomiastico, introdotto dal poeta per esaltare la famiglia del proprio signore o committente.
ORLANDO FURIOSO
Nell’ambito della corte estense di Ferrara fu composto anche il più celebre poema italiano del Rinascimento, Orlando furioso,  nato come ideale continuazione dell’Orlando innamorato (il quale si interrompe a metà del terzo libro).
L’autore dell’opera, Ludovico Ariosto (1474-1533), entrò al servizio degli Estensi nel 1503 e affiancò agli incarichi politici e culturali che gli furono affidati un costante impegno nella produzione artistica.
Orlando, l’eroe senza macchia e senza paura, nemico degli infedeli e morto a Roncisvalle per difendere gli ideali cristiani, diventa, nell’invenzione ariostesca, un cavaliere dalle caratteristiche più umane: vulnerabile all’amore di Angelica, principessa pagana, la insegue fino a diventare pazzo quando scopre che lei vive, ricambiata, un’intensa passione per un fante saraceno. L’ideale cavalleresco assume così significati nuovi, lasciando emergere dalle molteplici avventure dei personaggi non l’eroe ma l’uomo con le sue doti positive e le sue fragilità.
IL CAVALIRE COME METAFORA DELL’UOMO CONTEMPORANEO
Lo scrittore contemporaneo Italo Calvino (1923-1985) ha trovato nel mondo dei cavalieri immaginato da Ludovico Ariosto una originale fonte di ispirazione e anch’egli ha collocato in un improbabile Medioevo la storia di un eroico paladino, Agilulfo de “Il cavaliere inesistente”(Garzanti, Milano 1985). Quest’ultimo ha, tuttavia, una caratteristica che lo rende singolare: è privo di corpo, è una vuota armatura animata dalla sola forza di volontà, che agisce e pensa come un essere vivente e, come tale, combatte per gli ideali cristiani.
Affascinato dalla fantasia e dall’ironia di Ludovico Ariosto, Calvino recupera la figura del cavaliere per offrirci il suo punto di vista sull’uomo contemporaneo: quest’ultimo, vincolato da convenzioni sociali e ruoli, condizionato da imposizioni estranee a se stesso, crede di esserci, ma in realtà è soltanto un individuo privo di identità e senza coscienza di sé, cioè una forma, un involucro (come l’armatura di Agilulfo) che non contiene alcuna sostanza. Ecco, quindi, che il cavaliere già rimosso nel Rinascimento dal piedistallo su cui l’aveva posto la tradizione medioevale, trasformato da Boiardo e Ariosto in un uomo travolto dalla passione, riflette nitida l’immagine dell’alienazione contemporanea.