PRODUZIONE LETTERARIA IN LINGUA D’OC : LA LIRICA E LE CORTI EUROPEE (pp.60-66)
A partire dall’XI secolo, in Francia meridionale fiorì la lirica d’amore in lingua d’oc, cioè in Provenzale. Tale lirica si diffuse nelle corti fastose e raffinate della Provenza, a partire dalla corte del più grande feudatario di Francia, Guglielmo IX d’Aquitania (1071-1126), un nobile “fatuo, dissoluto e lubrico”, “nemico di ogni pudore e santità”; tale è il ritratto che di lui appare nelle fonti ecclesiastiche del tempo. Guglielmo IX d’Aquitania, come pure Federico II di Svevia in Sicili ed il re Enrico II in Inghilterra, promosse una cultura cortese di indirizzo laico, capace di esprimere i gusti e le tendenze di una nuova società civile che rivendicava la piena autonomia rispetto agli antichi valori della cultura latina ecclesiastica. In questo periodo si diffusero in Provenza nobili poeti e giullari che componevano liriche d’amore in provenzale (lingua d’oc): i TROVATORI. Questi elaborarono componimenti poetici del tutto originali, con temi, forme metriche e tecniche che si diffusero ben presto in tutta Europa: Francia del Nord, Portogallo, Germania, Italia (specialmente meridionale). La lirica d’amore il lingua d’oc ha avuto grande influenza sulla nascita della lirica moderna europea e sulla nostra poesia dotta, dalla “Scuola Siciliana” al “Dolce Stil Novo”. La corte divenne il luogo eletto della poesia. I principali trovatori provenzali furono
· Bernart de Ventadorn (indicato come il più grande dei Trovatori, attivo nella seconda metà del XII sec).
· Arnaut Daniel (1150-1200), definito da Dante Alighieri il “miglior fabbro del parlar moderno”.
· Bertran De Born (1140-1215).
· Folchetto di Marsiglia, attivo in Francia 1179-1195.
· Chretien de Troyes, attivo tra il 1160-1190; scrisse, oltre ai romanzi, due liriche d’amore in lingua d’oil.
La poesia dei trovatori prende spunto dai sentimenti delle corti e della classe dirigente d’Europa, ed elabora dei modelli (sia a livello di contenuto che di tecnica stilistica) che arriveranno anche alla cultura borghese e cittadina. Il tema predominante della poesia trobadorica in lingua d’oc è l’amore, un amore fortemente idealizzato, che si atteggia come un omaggio cortese del cavaliere alla dama, concepita come una creatura eletta, fonte di grazia e di virtù. Si tratta, spesso, di un amore richiesto per non essere ottenuto: l’amore di cui parlano i trovatori, è un amore sempre extramatrimoniale di cui le rigide regole feudali impediscono la soddisfazione. La donna, pur rappresentata in stereotipi fissi e talvolta astratti, è il fine ma anche la fonte letteraria dei trovatori e dei nuovi poeti in volgare: ella è la generatrice di ogni piacere, sessuale e morale. La lunga attesa imposta dalla sua inavvicinabilità, insegna un insieme di virtù che confluiranno nel codice di comportamento cortese: la misura, la pazienza, l’attesa. Il concetto di amore cristiano, viene inserito in una nuova dimensione laica dell’amore, basato quasi sempre sul rapporto tra amanti non coniugati. L’amore cortese comporta per colui che ama, una dedizione assoluta e totale, spesso anche nella consapevolezza della insicurezza e della inutilità del proprio servizio amoroso. In tal senso la figura femminile è assimilabile a quella del signore feudale. La donna non occupa realmente una posizione centrale: essa è in primo luogo il tramite per mettere in luce lo stato d’animo, le angosce e le ossessioni del poeta innamorato. Tra Duecento e Trecento la lirica provenzale è dunque dominata dalla lirica; le altre forme(epica, romanzo, racconto breve) appaiono marginali, anche se non mancano nel repertorio dei giullari.
Esistono due principali generi lirici più praticati dai trovatori provenzali, a seconda della struttura stilistica (la costruzione musicale e metrico-strofica) e del contenuto: la canzone cortese, che esprime generi di contenuto amoroso, e il sirventese che esprime componimenti a carattere politico e civile. Sia la canzone, che il sirventese, appartengono ad un registro stilistico “aulico” (da “aula”: in latino= corte) destinato ad un pubblico d’elite, il pubblico cortese ed aristocratico. Esisteva poi un registro “popolareggiante”, che comprendeva liriche in origine extracortesi, caratterizzate da un linguaggio e da uno stile meno ricercato e più immediato; ciò non esclude che poi tali liriche siano circolate anche in ambienti di corte. Le melodie delle liriche trobadoriche rivelano l’influenza della metrica e della musica coltivata nelle grandi abbazie dell’Aquitania.
Alla seconda metà del Duecento, si colloca il trattato “De Amore” di Andrea Cappellano, che viene ad essere una summa dell’amore cortese. La teoria d’amore che in esso viene esposta, ispirò tutta la lirica provenzale, ma anche la lirica italiana, da Guido Guinizzelli a Dante. Nel 1277 il trattato De amore e lo stesso A. Cappellano furono oggetto di condanna da parte dell’arcivescovo di Parigi, Etienne Tempier, per il contenuto ritenuto sovversivo dei principi etici e religiosi sui quali si basava l’ortodossia cattolica medievale. Ciò testimonia la componente cortese e laica dell’opera di A. Cappellano e, in generale, i nuovi orientamenti della civiltà letteraria europea del 1200.
L’INVENZIONE DEL ROMANZO. la corte anglonormanna e le corti francesi.
La corte anglonormanna del re Enrico II d’Inghilterra ed Eleonora d’Aquitania (nipote del primo trovatore provenzale, Gugliemo IX duca d’Aquitania), fu al suo tempo la più importante corte europea per la storia e lo sviluppo della letteratura cortese in volgare. Ai poeti del circolo letterario di Eleonora d’Aquitania sono state attribuite le più importanti opere scritte in volgare tra il 1154-1170. Eleonora D’Aquitania portava con sé l’ interesse per la poesia trobadorica e per la cultura volgare. Fu proprio alla corte di Enrico II ed Eleonora d’Aquitania che ebbe origine, nel XII sec., il genere letterario destinato ad avere maggiore fortuna nel tempo: IL ROMANZO. Il romanzo è il genere letterario e allo stesso tempo l’oggetto culturale di consumo(il libro) più diffuso nell’età moderna e contemporanea. Il tremine “romanzo” deriva dall’espressione francese “romanz”, a sua volta derivata dalla locuzione latina “romanice loqui”, cioè parlare in lingua volgare romanza. Infatti, in origine, il tremine “romanzo” indicava qualsiasi testo o discorso in lingua volgare. Solo dal secolo XII, l’espressione “romanzo” indicò un preciso genere letterario che si affiancava alle Chansons de Geste e alle Agiografie (vite dei santi) I primi romanzi a noi noti, quelli medievali del XII secolo, sono in versi (in genere ottosillabi rimati a coppie AA BB). L’impiego del verso si collega alla lettura che del romanzo si faceva ad alta voce. Più tardi, dal XII sec in poi, con la crescita della alfabetizzazione e l’emergere dei nuovi ceti urbani e borghesi, la forma privilegiata del romanzo fu la prosa, mentre cominciò a diffondersi la lettura individuale. Alle origini il Romanzo ben poco si differenziava dalla Chanson de geste, essendo entrambi i testi a carattere narrativo e scritti in versi. Una differenza fondamentale tra i due generi consisteva nella fruizione: la chanson de geste era rigorosamente legata ad un accompagnamento musicale, mentre il romanzo era destinato alla lettura, sia pubblica (a corte) che privata e individuale. Inoltre, a livello tematico, nei poemi epici le armi, l’eroismo e la virtù guerriera costituiscono il soggetto principale delle strorie; l’eroismo del singolo si annulla nell’eroismo di un’intera classe sociale: quella dei cavalieri, fedeli al proprio signore e a Dio. Nel romanzo, invece, il tema delle armi assume importanza solo in funzione dell’individuo, il cavaliere medievale, attorno al quale ruota tutta la vicenda. Il confine tra i due generi restava comunque assai labile.
Un filone tematico assai importante al quale attingevano i primi romanzi medievali in versi è la “materia di Bretagna”, da cui derivò il ROMANZO CAVALLERESCO : I ROMANZI DEL “CICLO BRETONE”.
I soggetti più noti di tali romanzi furono cavalieri erranti e dame: Tristano e Isotta, Lancillotto e Ginevra, re Artù e i cavalieri della Tavola rotonda, il Santo Graal. Queste storie sono costituite da leggende folcroriche molto antiche, di matrice celtica e bretone; si trattava di motivi fiabeschi precristiani.
I romanzi del ciclo bretone sono diversi rispetto ai poemi quelli del ciclo carolingio, non più dominati dal sentimento religioso e patriottico, bensì da un fervido spirito di avventura. I personaggi in essi celebrati sono animati da spirito d’avventura e soprattutto dall’amore; vivono in un mondo avvolto dal fascino dell’ignoto, nel quale abbondano maghi e incantesimi, combattono e affrontano pericoli per acquistare merito presso la donna amata. Il più grande romanziere medievale, nonché maggior poeta del ciclo bretone è:
Chretien De Troyes, originario della Champagne e attivo tra il 1160-1190; divenne poeta di corte presso la contessa Maria di Champagne (figlia di Eleonora D’aquitania), grande protetrice delle lettere e dei poeti di corte. Fu autore di numerosi romanzi in lingua d’oil (francese antico) tra cui il Lancelot, il Cliges, l’ Yvain, il Perceval. Compose anche due liriche d’amore. Altri autori rilevanti furono:
Thomas e Beroul i quali elaborarono un altro grande tema che appassionò il Medioevo: il romanzo di Tristano e Isotta (vedi pagg. 79-81 e pag. 84) . La leggenda appartiene al patrimonio narrativo e folcrorico celtico.
Altro filone tematico assai importante nell’ambito del romanzo medievale è la “materia antica”, cioè classica, dedicata ai miti antichi e ai grandi eroi della Grecia e di Roma. Tali romanzi riprendono, trasformandoli secondo l’ideale cavalleresco, i grandi poemi classici. Ricordiamo a tal proposito
Benoit De Sainte More, storiografo ufficiale e romanziere alla corte del re Enrico II. Fu autore di grandi romanzi a carattere celebrativo ed encomiastico : Roman de Thebes, Roman de Troie, Roman d’Eneas.